Sono stato all’auditorium della Conciliazione di Roma per il mio decimo concerto dei Simple Minds dall’89 ad oggi. Ha ragione KT Tunstall, la super special guest della serata, quando dice che Jim Kerr & C. sono la rock band più forte al mondo. Sono 28 anni che con i miei inossidabili amici li seguo negli stadi, nei palazzetti e negli auditorium di tutta Italia, e puntualmente riescono a colpire nel segno, con la loro carica di adrenalina inesauribile e contagiosa. Suono unico! E’ quello dei Minds e non ci si sbaglia, in versione rock o acustica, c’è poco da fare. Come tutti i grandi si riconoscono dal primo colpo di tamburo o dal primo accordo e dal successivo affondo di chitarra. Sono insieme da quarant’anni, Jim Kerr e Charlie Burchill, una vita. Più di un matrimonio (dice scherzando il leader della band). E di questi 40 anni di carriera, ieri sera hanno suonato i più grandi successi, con un suono insolito, senza la batteria di Mel Gaynor, molto ben sostituito dalla giovane, brava e bella percussionista Cherisse Osey. Nelle sue mani l’apertura del concerto con una vigorosa versione di New Gold Dream. Seguono a ruota l’ingresso sul palco di Charlie Burchill e Gordy Goudie, chitarre, Sarah Brown, voce e Ged Grimes, basso e voce. Altro che Acoustic! Jim scende tra il pubblico dell’auditorium. Il boato l’avrà sentito anche Papa Francesco, nella sua residenza, a poche centinaia di metri di distanza. L’auditorium, molto bello e con un ottimo suono, è all’ombra del cupolone. Il concerto va avanti con See the lights, Glittering prize, Chelsea girl (bellissima), Big Sleep, Stand by love (più energizzante di una red bull), Someone somewhere in summertime, Waterfront, Andy Warhol, omaggio a David Bowie, cantata dal secondo chitarrista Gordy, uno degli storici collaboratori dei Minds con una voce molto simile a quella del Duca Bianco, ed ancora, la cover Dancing Barefoot, affidata alle corde di Sarah Brown, Speed your love to me, l’immancabile Don’t you forget about me, e Sanctify Yourself suonata in una vera e propria baraonda positiva. Un attimino di stop, giusto il tempo di urlare al bis e la band torna sul palco con una suggestiva versione di Honest town, probabilmente l’arrangiamento più bello dello spettacolo, e poi The Cross, un tributo a Prince deceduto un anno fa, Promised you a miracle, con sul palco l’energia contagiosa della brava KT Tunstall, ed ancora, For what it’s worth dei Buffalo Springfield e l’immancabile e richiestissima Alive & Kicking.
No. quando dico che i Simple Minds sono la più grande rock band al mondo non scherzo. E non parlo da groupie scatenato. Da quarant’anni salgono sui palchi di tutto il mondo, grandi e piccole location, davanti a mille o dieci mila persone, e suonano, suonano e suonano ancora, senza i fumi stravaganti delle grandi rock star, mantenendo un rapporto intimo con il pubblico. Sono rock star a portata di mano. Umili e generosi. Grandi Simple Minds.
Al prossimo concerto. Non vedo l’ora!