“Sotte a uarche alla condrore,
ammene nu belle vendecidde,
ci è bell a stè d’affor cù crescè sope o castiedde…”
Era la Fanoje di tanti anni fa, io ne avevo 8, quando su un palchetto in Piazza Gramsci, il maestro Gino Pastore, prese alcuni di noi, alunni della sua classe, e ci fece recitare una poesia, il cui titolo sinceramente non lo ricordo e che iniziava proprio così. Il resto della poesia non mi è rimasta in mente, questa era la parte che recitavo io e non l’ho mai dimenticata. Parlava delle nonnine che nelle viuzze del Borgo Antico di Capurso si dilettavano, ma molte di loro lo facevano per mestiere, nell’arte du crescè in italiano l’uncinetto. Le origini della lavorazione all’uncinetto sono antichissime e, come nel caso di altre arti tessili, difficili da tracciare, ma sono stati trovati esempi primitivi in ogni angolo del globo, in Estremo Oriente, in Africa, in Europa, nelle Americhe. Esempi se ne ritrovano, addirittura, già nella cultura egizia. Ma i merletti capursesi sono unici nella storia. Tanti nostri commercianti, si sono arricchiti, in particolare sulle spiagge dell’Emilia Romagna nel primo dopo guerra, grazie alle opere tessili delle donne capursesi. Ma per cause che io non riesco a comprendere, l’arte du crescè, a Capurso si è persa. Non si è riusciti a preservarla da una modernizzazione ignorante. Forse nei lontani anni ottanta, la semplice organizzazione di corsi di uncinetto, avrebbe potuto salvare quest’arte ormai in estinzione. Qualcuno potrebbe dire: “adesso ci sei tu, organizzatelo”. Certo. È proprio per questo che sto scrivendo questo pezzo. Voglio organizzare un corso di uncinetto, magari trovando delle nonnine disposte a tramandare la loro arte a giovani volenterose. L’uncinetto potrebbe essere un’ottima possibilità di lavoro per i giovani. Si è vero, ormai ci sono i merletti cinesi, li vendono con una miseria di €uri, ma è pure vero che i cinesi vendono pure abbigliamento con una miseria di €uri, ed è ancor più vero che quando abbiamo bisogno di un capo di un certo livello, scegliamo quello di sartoria, quello italiano, quello fatto dai nostri maestri artigiani. L’idea mi è venuta in mente guardando la velocità con cui mia nonna, domenica scorsa, si districava con gli uncinetti all’età di ottantacinque anni e forse più. Ho quindi pensato, se riusciamo ad organizzare un corso, a farlo diventare lavoro per i giovani, a rimettere in moto il commercio dei merletti capursesi, le nuove artigiane non dovranno avere paura manco dei tagli dei governi, della riduzione delle pensioni e dell’innalzamento dell’età pensionabile. Anche a ottant’anni passati, potranno lavorare ed infischiarsene delle malefatte della politica, dei Berlusconi, dei Monti, dei Bersani e dei Grillo di turno.