Un discorso fatto col cuore. Con il dovuto rispetto nei confronti di chi, 74 anni fa, ha reso il popolo italiano Libero dall’odio e dalla guerra. Un discorso che lascia poco spazio ai rappresentanti delle Istituzioni che, in questi giorni, hanno parlato con terrificante ignoranza, di una data così rilevante nella storia della nostra nazione, paragonandola a un derby, a una sfilata di fazzoletti colorati, decidendo clamorosamente di disertarne le celebrazioni ufficiali. Ho avuto l’onore di sostituire il Sindaco Francesco Crudele e rappresentare Capurso circondato dal calore dei capursesi, che in tanti hanno partecipato alla celebrazione del 25 aprile:

Carissimi concittadini, autorità civili, militari e religiose, carissimo Sindaco dei Ragazzi e giovani Consiglieri del Consiglio Comunale dei Ragazzi, è bello rappresentare l’intera comunità capursese, con il tricolore sul petto, quel tricolore che ci unisce, che identifica tutti gli italiani.

È sempre un grande onore, poter affermare, in questa giornata tanto importante per la storia nazionale, un convinto “NO” a tutte le guerre. È questo il senso che bisogna attribuire alla giornata odierna, un messaggio giunto sino a noi, seppur bagnato dal sangue di tanti italiani che hanno dato la vita per un unico valore, la Libertà.

Sappiamo tutti che il 25 aprile del 1945 segnò la vittoria della Resistenza Italiana sui nazifascisti. Quel giorno la città di Milano, sede del comando partigiano, insorse e prese il sopravvento sui fascisti. Ormai, la maggior parte d’Italia era libera e la guerra stava per finire. Il 28 aprile Mussolini venne catturato e giustiziato. I tedeschi si arresero l’8 maggio, mentre i giapponesi lo fecero il 2 settembre di quello stesso anno. La seconda guerra mondiale stava terminando, ma l’Italia, l’Europa, il mondo intero continuarono a lungo a piangere sulle proprie macerie umane e materiali.

Il 25 aprile, dunque, è, e deve essere, la festa di tutti gli italiani. Ci si può ritrovare, senza riaprire le ferite del passato, nel rispetto di tutte le vittime, ma pur sempre nell’omaggio alla Liberazione dal nazifascismo, segno inequivocabile di riconquista dell’indipendenza e della dignità della nostra Nazione.

Il 25 aprile, invece, non può essere stigmatizzato come un ‘derby’, tra rossi e neri, tra fascisti e comunisti, soprattutto se questo messaggio arriva da un esponente delle istituzioni, peggio ancora se ricopre uno dei dicasteri più delicati del nostro ordinamento costituzionale. Il 25 aprile deve restare memoria della fine della guerra, dell’occupazione nazista, della guerra civile. Il 25 aprile è l’alba della democrazia repubblicana. Quella democrazia che oggi porta milioni di italiani, uomini e donne, al voto nel rispetto della Carta Costituzionale che, proprio da quel 25 aprile 1945, ebbe la sua prima fase embrionale. Il derby non è mai esistito, non lo è stato neanche nei giorni immediatamente successivi alla resa delle forze nazifasciste, allor quando si scatenò a Milano un’ondata di vendette contro gli ex sostenitori della Repubblica di Salò. Non era derby neanche quando il Sindaco Antonio Greppi, ricordato dai milanesi come il Sindaco della Liberazione, non esitò a prendere posizione ufficiale contro quelle violenze, benché lui stesso fosse da considerare una vittima indiretta del fascismo, poiché suo figlio Mario, membro dell’VIII brigata Matteotti, era caduto a Milano nel corso di una rappresaglia attuata dalla legione autonoma Ettore Muti, la legione più impegnata e violenta contro i partigiani milanesi.

Derby… Ma che linguaggio è? Che messaggio si da alle giovani generazioni? Cari concittadini, ma soprattutto voi ragazzi, il 25 aprile sappiatelo e urlatelo in giro non è un derby, è storia, che solo quando non si conosce, forse, la si può liquidare come se fosse un racconto, uno dei tanti, come se fosse una competizione sportiva. Dobbiamo opporci a questa deriva violenta e dissacrante del linguaggio e dei valori su cui si fonda la nostra Repubblica, non è accettabile che a 74 anni di distanza, uomini dello Stato, che hanno giurato sulla Costituzione, parlino del 25 aprile come di una sfilata di fazzoletti colorati.

Il 25 aprile non è un derby, non è un tweet, non è una trovata social. Il 25 aprile “sfilano” i cittadini italiani fedeli alla Costituzione e contrari agli orrori della dittatura nazi-fascista. Questa festa, perché il ritorno della libertà non può che essere un giorno di festa, serve a non dimenticare gli orrori di quella storia.

In quel 25 aprile milanese, la stampa titolava “L’Italia è libera, l’Italia risorgerà“. Un grido di speranza, mille volte più forte del dolore. Un grido di speranza che unì gli italiani sotto un’unica bandiera.

Ma non sarebbe giusta la storia se non desse il corretto merito alle forze partigiane che contribuirono in modo sostanziale alla fine del regime nazifascista. Non divise militari, non eserciti regolari, ma semplici uomini e donne, piccoli eroi, di tutte le estrazioni sociali e di varie vedute politiche, si unirono per ribellarsi alla dittatura, insieme agli alleati.

Il capo dello Stato Sergio Mattarella ha indicato la linea di confine tra le due parti: “da una parte si combatteva per la libertà, dall’altra per la sopraffazione. Da una parte è venuta l’Italia in cui viviamo, che avrà mille difetti ma li possiamo denunciare e combattere; dall’altra  un’Italia in continuità con un regime agonizzante, che avrebbe continuato a far vivere i suoi cittadini in obbedienza alla volontà di un uomo o di un’oligarchia o di una dottrina. Controllato da quella volontà, il popolo era obbligato ad essere fascista. Non si poteva essere marxisti, o liberali, o cristiani… È questa la differenza. Ed è una differenza sancita nella Costituzione. Il che significa che il risultato più grande e più duraturo della Resistenza è la nostra Costituzione. Chi è morto da partigiano o da resistente, è morto perché fosse scritta questa Costituzione. La Costituzione si può perfezionare, tutto è perfettibile, ma non si può tradirla”.

Ricordare oggi la Resistenza, settantaquattro anni dopo, vuol dire ricordarsi di tutto questo, ma vuol dire anche elevare il livello di analisi dei problemi, poiché è giunto anche il momento di dire un secco ‘no’ a una volgarità dilagante che imperversa e ci fa credere che bisogna sempre tenere lo sguardo basso, vivere nella paura, soprattutto del diverso, addirittura della Storia, se non è quella funzionale a ciò che più ci fa comodo. E allora, alza lo sguardo Italia e fatti grande, onorando tutte quelle donne e quegli uomini che non hanno bisogno di mitra ed elmetti per difendersi dal pensiero altrui, che non incutono paure, ma disseminano il germe della speranza e della solidarietà, che hanno come arma di Istruzione di massa la Costituzione della Repubblica! Alza la testa Italia. W il 25 aprile! W l’Italia! W Capurso!